“Vivremo per sempre, grazie all’immortalità digitale”

L’immortalità è un sogno che da sempre l’uomo accarezza. Un’utopia irrangiungibile, quella della vittoria sulla morte, che ora però la scienza sembra voler assicurare. Ma la vita eterna che la tecnologia promette non è quella biologica- da questo punto di vista, la genetica è ancora in alto mare- ma una forma assolutamente nuova: quella digitale.

L’idea è al centro dell’ultimo libro di Stephen Cave, “Immortalità”, nel quale l’autore affronta l’aspirazione a vivere per sempre che ha guidato la nostra evoluzione culturale giungendo al suo massimo culmine proprio oggi, in quest’epoca contemporanea dominata dalla scienza, nella quale nulla sembra impossibile. ”L’immortalità digitale è una sorta di piano B: se la bioscienza fallisce nel suo obiettivo di scoprire come sopravvivere biologicamente, allora si opta per un alter ego al silicio che entra in scena quando il corpo muore”, spiega in sintesi.

In poche parole, uno scanner analizza il cervello del potenziale Highlander e ne traduce l’essenza, ciò che fa di lui un individuo, in bit e byte. La copia perfetta della sua personalità viene poi salvata nella memoria di un computer: da qui, il cervello digitale viene riportato in funzione all’interno di un avatar di un mondo virtuale tipo “Second Life” o persino, perchè no, nei circuiti di un robot di nuovissima generazione dotato di intelligenza artificiale. Il nostro duplicato, in questo modo, ci sopravvive.

Certo, questa non è la vera immortalità, riconosce lo scrittore, dal momento che l’io fisico muore ed il nuovo io- pur avendo lo stesso carattere, gli stessi gusti, persino le stesse reazioni emotive- è in fondo sempre e solo una replica dell’originale. Eppure quella replica potrebbe vivere la vita di chi non c’è più: potrebbe crescere, sposarsi, avere dei figli…

Per arrivare alla copia digitale, ci sono però ancora tre grossi ostacoli da superare. “Primo- spiega Cave- dobbiamo trovare il modo di leggere tutte le informazioni che fanno di una persona un determinato inviduo. Secondo, dobbiamo riuscire ad immagazzinare tutti i dati del nostro cervello: parliamo di un ordine di grandezza milioni di volte superiore a quello che possiedono attualmente i sistemi computerizzati. Ultimo, dobbiamo scoprire il modo per riportare in vita tutto questo bagaglio informativo.”


Praticamente, come emuli del Dottor Frankenstein, gli scienziati dovranno inventare la “scarica elettrica” giusta per animare ciò che è archiviato, catalogato ed assemblato in un mega-pc. Ma non crediate che nessuno ci stia provando. Perchè anche in questo caso, come è avvenuto per altre scoperte, l’idea visionaria prospettata dalla letteratura è ormai un progetto da laboratori. Anzi, c’è già chi crede che l’immortalità digitale possa realizzarsi nel giro di una generazione.

Per il dottor Stuart Armstrong, ad esempio, ricercatore presso l’Istituto per il futuro dell’Umanità dell’Università di Oxford, la chiave per la vita eterna è quasi nelle nostre mani. “La tecnologia oggi avanza sempre più rapidamente e ce ne rendiamo conto tutti, perchè riusciamo a vivere meglio e di più. Quindi i problemi che l’immortalità digitale deve affrontare sono essenzialmente di natura ingenieristica.

Certo, ognuno di essi è complicato e di difficile soluzione, ma potrebbero essere superati entro un decennio, se decidiamo di applicare un regime nella scala del Progetto Manhattan.” Il riferimento, ovviamente, è alla profusione di menti e di denaro impegnati a suo tempo dagli Stati Uniti per giungere, in tempi brevissimi e in anticipo su tutti, alla bomba atomica.

In questo caso, il punto critico del progetto consiste nella scannerizzazione dei dati contenuti nel cervello. Ma se la potenza dei computer continuerà a raddoppiare ogni due anni- come prevede la Legge di Moore- presto il problema non sarà più tale. “O magari, all’inizio, dovremo accettare un compromesso tra quello che si può fare e quello che non si può fare”, aggiunge Armstrong. Ma questa sarebbe una forma di immortalità reale, secondo lo studioso:”Se l’avatar o il robot è a tutti gli effetti come me, allora è me.”

Anche un altro ricercatore non vede l’ora di trasportare l’immortalità digitale dalle pagine di un libro alla quotidianità. Si tratta di Randal A. Koene, fondatore del Carbon Copies Project, una società no-profit della California che sta promuovendo una “task force” di scienziati per approfondire i tempi e i modi dell’eternità ai tempi del computer. “Tuttavia, preferisco parlare di substrati mentali indipendenti, perchè il concetto di immortalità punta troppo su quanto dura la vita, non su cosa puoi fare vivendola“, dice.

Il dottor Koene e il Carbon Copies Project stanno preparando una road map, una sorta di percorso di avvicinamento alla meta finale- il substrato mentale indipendente- per far convogliare tutte le ricerche sull’argomento, identificare le lacune e capire come integrarle. “Non è fantascienza, anzi, è un progetto molto vicino alla scienza”, sostiene lui. “Ci sarebbe una continuità nell’identità di una persona, nello stesso modo in cui oggi noi siamo gli stessi che eravamo a 5 anni e nello stesso tempo siamo diversi. “

L’attesa per questa rivoluzione non dovrebbe essere troppo lunga. L’India ha annunciato che entro il 2017 sarà pronto un super-computer abbastanza potente da gestire l’enorme memoria necessaria per uploadare tutti i dati presenti nella mente umana, mentre l’Istituto Allen per la scienza del cervello investirà 300 milioni di dollari per “craccare” il sistema di funzionamento del nostro organo principe e scoprire come codifica, elabora le informazioni e poi le immagazzina. “Neanche ci renderemo conto di essere scannerizzati, caricati e sostituiti“, chiosa Armstrong.

Tutto a posto, dunque? Non proprio. L’immortalità digitale apre importanti questioni etiche ed interrogativi morali. Li racchiude in questa semplice domanda Stephen Cave:” Se mia figlia morisse e io la rimpiazzassi con il suo avatar digitale come sostegno per sopportare il lutto, la dovrei lasciar crescere e diventare lei stessa madre? Le dovrei dire che è solo una copia? Posso solo immaginare cosa significherebbe raccontarle la verità.”


Ma non sarebbe questo l’unico “effetto collaterale”. Le conseguenze potrebbero essere drammatiche e portare persino all’estinzione dell’umanità: perchè mantenere miliardi di individui- che consumano, sporcano, inquinano- quando al loro posto potremmo popolare il pianeta di avatar o di robot più facilmente gestibili? Tra l’altro, le nostre copie digitali potrebbero essere aggiornate e potenziate- come facciamo oggi con i nostri Pc- grazie a programmi sempre più sofisticati, migliorando così le loro prestazioni mentali e fisiche, sicuramente superiori a quelle di una persona in carne ed ossa.

In effetti, se fosse possibile riprodurre per milioni di volte i 5 migliori medici al mondo o i 5 migliori programmatori informatici, i corrispettivi umani diventerebbero inutili. “Di più, diventerebbero solo un peso economico e perderebbero il loro valore- profetizza il fondatore di Carbon Copies Project. ” Gli esseri umani magari verrebbero lasciati morire oppure vivrebbero sottoposti ad un controllo coercitivo.”

Senza contare, poi, che una tecnologia del genere sarebbe molto costosa e quindi a disposizione di pochi, pochissimi privilegiati. I potenti della Terra potrebbero diventare ancora più potenti. E in aggiunta, pure eterni. A discapito della gran massa abbandonata al proprio destino, ancora più povera, ancora più disperata. Così, il sogno di vivere per sempre si trasformerebbe nel peggiore degli incubi… Timori eccessivi? Scenari da film? Forse. Ma la storia ci insegna che spesso quello che sembra solo frutto dell’ immaginazione nel volgere di pochi anni può diventare realtà.

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