Generale Fabio Mini: la guerra ambientale è in atto

10 gennaio 2014 - Fabio Mini, il relatore sicuramente più atteso della conferenza di Firenze, riafferma la tesi già espressa anni fa. Oggi si dichiara ancora più convinto, la guerra ambientale non è una ipotesi, la guerra ambientale è in atto.A tal proposito rivendica la responsabilità di aver posto in Italia l’attenzione su questo tema quando nel 2007 scrisse l’articolo “Owning the weather: la guerra ambientale è già cominciata” e con l’intervista
“La guerra ambientale è già cominciata” dell’anno seguente, ufficializzando uno scenario nuovo: le forze della natura sono adoperate e piegate come strumento ed arma.

Mini presenta dati e concetti senza richiamare scenari fantascientifici, anche perché le fantasie sono spesso superate da tecnologie concrete, create ed applicate. La maggior parte delle persone ritiene inconcepibili certi scenari, in quanto non è al corrente delle progettazioni in materia di tecnologie militari e quindi delle conseguenti implicazioni. Il fatto di apprenderli o ricevere conferme dalla voce accreditata di un militare di primo piano, come è il generale Mini, non è certo irrilevante rispetto a questo tipo di contesto.

Mini non svela segreti e non potrebbe. Nessuno scoop, nessuna novità all’orizzonte dirà qualcuno, ma l’esposizione di una realtà occultata e protetta dal segreto di stato, da parte di un rappresentante delle istituzioni importante, favorisce comunque il delinearsi di contorni più concreti di questa realtà, rendendola percepibile, e sicuramente più credibile, a chi si pone ancora scettico oppure incredulo di fronte a certi sviluppi.

Il Generale descrive, dalla sua esperienza in Kosovo, lo scatto iniziale del suo interessamento per la questione ambientale in ottica militare quando anni fa fece una sorta di carrellata su quello che era l’approccio della ricerca militare sull’ambiente e da cui nacque l’articolo “Owning the weather”.

La guerra all’ambiente è proibita da una Convenzione ONU del 1977 che vieta “l’uso militare, o di altra ostile natura, di tecniche di modificazione ambientale con effetti a larga diffusione, di lunga durata o di violenta intensità”. Questo non può certo rassicurare, dice Mini, il 90% delle cose vietate dall’ONU vengono regolarmente messe in pratica. I militari hanno già la capacità di condizionare l’ambiente: tornado, uragani, terremoti e tsunami alterati o addirittura provocati dall’uomo sono una possibilità concreta.

Alcune considerazioni sulla mentalità militare, fatte da Mini, lasciano intuire i probabili rischi e le conseguenze di questa evoluzione in campo tecnologico:

- i militari prediligono la tecnologia e le loro richieste alla scienza non sono per programmi attuabili a breve termine, ma sono progetti con sviluppi nel medio e lunghissimo termine.

- non esiste una moralità che possa impedire di oltrepassare un certo punto. Basti pensare allo sviluppo e le applicazioni degli ordigni atomici. Non esiste vincolo morale, ciò che si può fare si fa.

- la tecnologia viene applicata anche a livello immaturo: la voglia di incrementare la conoscenza, di conseguire un vantaggio spinge ad usare le tecnologie senza fare test a sufficienza. Una possibilità viene messa in atto per verificarne il funzionamento, sperimentandone direttamente sul campo gli effetti.

Lo studio dell’aeronautica militare statunitense “Weather as a Force Multiplier: Owning the Weather in 2025” del 1995, delineava i piani da sviluppare per conseguire nell’arco di 30 anni il controllo del tempo meteo a livello globale. Secondo Mini gli obiettivi in esso delineati non parlavano di possedere il clima, ma di possedere in un determinato luogo, in un determinato momento il controllo del meteo, lo spazio atmosferico, per condurre operazioni belliche: per esempio, spiega il generale, irrorando le nubi con ioduro d’argento, altre sostanze chimiche o polimeri, per dissolverle oppure spostarle. Si tratta della possibilità di destabilizzare una regione o paese, in qualsiasi parte del mondo. Oggi, a 17 anni dalla pubblicazione di quello studio, siamo piuttosto vicini al traguardo del 2025.

Le aspirazioni di scienziati e militari però non finiscono qui, aggiunge, c’è a chi non basta la possibilità di manipolare localmente e momentaneamente, per scopi ben definiti, il meteo. C’è chi indaga su alterazioni di lunga durata e di ampia portata (lo conferma ad es. l’articolo dello stratega militare Gordon MacDonald in “How to wreck the environment” pubblicato negli anni sessanta e che sarà tradotto e pubblicato su questo sito, ndr).

Il generale focalizza l’attenzione su un aspetto importante; riferendosi alla Teoria del Caos elaborata negli anni ’60 dal meteorologo Lorenz, si dice convinto che mai e poi mai avremo le conoscenze a sufficienza per verificare le effettive conseguenze di una modificazione. Se c’è qualcuno che trae un vantaggio da una modificazione meteo, dall’altra ci sarà qualcun altro che ne subisce un danno, e non è detto che lo paghi in termini lineari, con conseguenze anche catastrofiche (Lorenz lo chiama Effetto Farfalla). Proprio in quegli anni si comincia a pensare non solo di cambiare il tempo meteo, ma di creare una situazione permanente e quindi di cambiare il clima. Così qualcuno inizia a pensare: cosa rende l’Europa prospera e le garantisce un clima favorevole? La corrente del golfo del Messico. Bene, allora qualcuno si è messo a studiare come modificare questa corrente. Non solo, ma qualcuno ha iniziato a chiedersi: possiamo provocare un terremoto? Qualcuno ha risposto ‘si può fare’.

Nel 1946 Thomas Leech, scienziato e professore israeliano-neozelandese, ha lavorato in Australia per conto dell’Università di Auckland con fondi americani e inglesi per provocare piccoli tsunami. Gli esperimenti del Progetto Seal furono coronati da successo. Poi quando gli chiesero di farne di grandi rinunciò, ma chi ci dice che quelle ricerche non siano state portate avanti? Se la tecnologia c’è, gli strumenti anche, basta trovare la voglia di impiegarli. E la convenzione dell’ONU che lo vieta non sarà certo un ostacolo.

Non è detto che la volontà politica trovi tutta la catena decisionale consenziente (scienziati, militari) ma questo aspetto sarà sempre meno rilevante. Con la robotizzazione ed automatizzazione molte operazioni possono essere eseguite con il coinvolgimento di poche persone. Tramite l’utilizzo di droni sarebbe possibile irrorare tutte le pianure del Kansas (cui il generale fa un riferimento non casuale), senza neanche il coinvolgimento di piloti. Gli scopi appariranno sempre benefici, commenta ironicamente Mini, basterà fornire il giusto supporto teorico o ideologico finanziando le ricerche ‘giuste’.

Non ci sono vincoli, non ci sono regole, se c’è la possibilità di farlo ‘qualcuno’ lo farà.

Ma chi è questo qualcuno? Da chi scaturisce quella volontà politica che sta alla base della catena di comando? In riferimento a questo il Generale mette in evidenza il decrescente, o quasi nullo, ruolo degli stati, a vantaggio di non meglio identificate ‘bande’, costituite da persone, associazioni e corporazioni, coaguli di potere che non hanno nessun interesse istituzionale, ma conseguono solamente il proprio interesse, e nel nome di esso sono disposte a mandare in crisi un sistema per modificarlo a proprio vantaggio, utilizzando mezzi illegali e legali.

Dopo questa prima parte più focalizzata sul tema della conferenza, l’intervento si sposta su alcune questioni di carattere più generale. Mini cerca di fare una sintesi sui fattori fondamentali che oggi caratterizzeranno le analisi di carattere strategico a livello militare. In sintesi:

-Demografia, è in aumento ma non quanto si pensava qualche anno fa.

-Risorse: in netta diminuzione.

-L’economia è globalmente in netta recessione.

-Proliferazione delle armi: leggermente in diminuzione a causa della crisi economica.

-Ruolo degli stati nella definizione della minaccia: ZERO. Non sono gli stati a decidere, a individuare o prevedere le minacce. Sono altri che fanno le analisi. Fare le valutazioni della minaccia vuol dire fornire le indicazioni per la politica e questa prerogativa non è più nelle mani degli Stati, neanche di quelli forti. Il Presidente Bush ha dichiarato la minaccia che qualcuno gli ha segnalato, chi gli ha suggerito la minaccia? Non qualcuno che sta dentro le istituzioni e lavora per le istituzioni, ma qualcuno che lavora fuori dalle istituzioni contro le istituzioni.

-Fallimento degli stati: in aumento.

-Quante civiltà? Il multipolarismo è fondamentale per gli equilibri umani, nel mondo siamo ridotti ad avere due civiltà, quando si parla di due si parla di una contrapposizione permanente. La famosa teoria dello scontro di civiltà prefigura uno scontro globale tra la cultura giudaico-cristiana e quella musulmana. Una balla immensa, dice Mini, che però è il faro politico di tutte le relazioni internazionali.

-Criminalità: in netto aumento.

-Efficienza del contrasto alla criminalità: fortemente diminuita.

-Percezione della sicurezza: negativa.

-Militarizzazione del contrasto nell’ambito della sicurezza: in incremento. Le cose che venivano fatte con strumenti civili oggi vengono fatte quasi esclusivamente con strumenti militari, inducendo gli ambienti militari ad essere sempre più proiettati verso il controllo e il possesso di strumenti tecnologici per attuarlo.

-La dualità, lo scontro, si manifesta in maniera preponderante nello spazio, con il controllo telecomunicazioni, sistema di difesa, ecc.; nell’ambiente, che non è più il luogo ove la guerra si manifesta, ma è l’arma; negli agglomerati urbani, che sono i luoghi dove si prevede il maggior intervento in termini di militarizzazione. Lo spazio è definito un bene comune (commons) e come tale dovrebbe essere salvaguardato. Ma non succede, la percezione di scarsa sicurezza alimenta un incremento di militarizzazione.

Dopo queste considerazioni, riprende il discorso sulla guerra ambientale (Mini tocca l’argomento delle discusse scie degli aerei, ma su questo si esprimerà in maniera più esplicita nella discussione con il pubblico dopo questa prima parte di intervento).

Come si sfrutta l’ambiente come arma? Non solo con le modifiche meteorologiche, ma anche, tramite la negazione delle informazioni (l’assenza alla conferenza di qualsiasi media ne è un piccolo esempio, ndr). Non c’è solo la disinformazione sull’ambiente, ma c’è una pratica militare che si chiama denial of service. Si stabilisce che è necessario non solo negare la realtà o l’evidenza, ma negare l’informazione. Determinate persone o paesi non devono venire a conoscenza delle informazioni. Lo tsunami indonesiano è ancora uno scandalo: l’informazione sul suo arrivo era disponibile ma interruzioni nella trasmissione dati a causa di anelli mal-funzionanti, o volutamente non funzionanti, ne hanno impedito la comunicazione.

Negare l’informazione è già un atto di guerra fondamentale.

Un altro aspetto è emblematicamente rappresentato dal sistema HAARP. Invece di influire sull’ambiente a carattere solo locale, si può incidere globalmente andando a creare dei punti più caldi o più freddi artificialmente e quindi modificando il clima interferendo anche sulle correnti.

Stesso dicasi per le alterazioni che provocano i terremoti, ma il Generale nega però possibili legami con i terremoti in Emilia. Nessuno può negare che ci siano stati più di 2000 esplosioni nucleari nel sottosuolo terrestre, nella profondità degli oceani e persino nello spazio; già negli anni ’90 per colpire degli obiettivi di interesse militare in Cina, fu pianificato di indurre un terremoto con delle esplosioni dalla zona di Okinawa. La dismissione di migliaia di ordigni nucleari ha creato un mercato dei materiali fissili da innesco. Le grandi compagnie petrolifere si offrirono di reimpiegarli e sappiamo che è possibile agire sulle faglie inducendo terremoti tramite ordigni nucleari o micro-nucleari.

Conclude rivolto ad una parte del pubblico, senza dubbio in attesa delle sue prese di posizione sulle scie chimiche: “Ne parleremo se volete… non so se sono o non sono…” e, dopo una pausa allusiva ma piuttosto significativa, come suo solito, conclude: “… ma se ci sono e sono prodotte deliberatamente, bisogna controllare che questo qualcuno faccia questa cosa in modo che vada bene anche a noi. Se non va bene anche per noi…ci dobbiamo opporre”.

Il Generale Mini ha risposto in seguito alle domande del pubblico.

La documentazione della seconda parte sarà pubblicata a breve.



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