Perché nessuno sa cos’è il TAFTA?


Ancora negoziati segreti, ancora accordi “bilaterali” scritti dalle corporation che dovrebbero diventare legge per tutti, impattando sulla vita di milioni di persone. La stesura del Transatlantic Free Trade Area (TAFTA) o anche Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) segue in tutti i sensi le tracce del famigerato ACTA (Anti-Counterfeiting Trade Agreement) già cassato del parlamento dell’Unione Europea o anche del TPP
(Trans-Pacific Partnership), gemello in versione trans-pacifica. Negoziati segreti, per giungere a un accordo quadro su una quantità di argomenti politicamente sensibili, che se poi passeranno al voto parlamentare impegneranno i paesi contraenti a una clamorosa cessione di sovranità al mondo della finanza e delle corporations e persino al paradossale risultato di rendere gli stati responsabili nei confronti delle aziende e non viceversa…


Anche il TAFTA come altri progetti analoghi prevede di giungere a un articolato che avrà forza di legge per i paesi contraenti, che dovranno ad esso «… adeguare le loro leggi, i loro regolamenti e le loro procedure». L’accordo impatta sulle politiche sanitarie, sulla protezione dell’ambiente e sulla regolazione della finanza e mette le grandi aziende in grado di citare gli stati di fronte a corti d’arbitraggio estranee ai sistemi giudiziari dei paesi firmatari. Corti composte d’avvocati d’affari che rispondono a normative della Banca Mondiale e dell’ONU e che dovranno giudicare le pretese milionarie delle aziende che si sentiranno danneggiate da eventuali resistenze di questo o quello stato. Ogni corte è composta da tre di questi professionisti specializzato in questo particolare ramo, che è particolarmente esclusivo, visto che sono appena 15 quelli che oggi si dividono il 55% delle cause del genere, e tutti ovviamente dopo aver lavorato e fatto fortuna lavorando per le corporations. Le loro sentenze non sono appellabili, ma non è tanto nel ricorrere a un sistema del genere il problema, quanto nell’introduzione e legittimazione dello schema che vede gli investitori poter far causa agli stati se non si conformeranno velocemente alle conclusioni del trattato, che ora appaiono controverse a dir poco e probabilmente irricevibili non meno dell’ACTA.

TAFTA impatterebbe pesantemente su una vasta gamma di settori molto delicati, sulle norme che regolano la sicurezza alimentare ad esempio gli Stati Uniti spingono per eliminare certe differenze rifiutando la tracciabilità degli OGM o l’uso del cloro nel trattamento delle carni. Nel settore dei medicinali c’è il solito tentativo di Big Pharma d’estendere la protezione delle sue proprietà intellettuali verso l’infinito, seguito in parallelo dall’offensiva delle big dell’infotainment, che per proteggerli vorrebbero blindare la rete, che allo stesso tempo si vorrebbe regolata secondo leggi che affidino ai provider il ruolo di sceriffi agli ordini dei detentori dei copyright. Ma nel trattato c’è anche una disciplina che apre allo sfruttamento delle risorse naturali, l’acqua su tutte, e ci sono impegni per adeguarsi ai quali più d’un paese europeo, e la stessa UE, dovrebbe metter mano alle proprie leggi e fors’anche alla propria costituzione.

Tutti i negoziati si tengono a porte chiuse, perché, l’hanno detto esplicitamente, si vogliono tenere al riparo dalle pressioni di chi sarebbe contrario, molto democratico. La speranza, come dimostrano ormai almeno 20 anni di tentativi del genere, è quella che prima o poi questo genere d’accordi siano siglati per sfinimento, com’è accaduto per l’ACTA, e che diversamente da questo passino al vaglio del parlamento dell’UE, magari in un momento favorevole all’impostazione iper-liberista di questo insieme di regole per le imprese scritto dalle grandi corporations.

Letteralmente scritto dalle grandi corporations, che non solo distaccano centinaia d’avvocati a seguire e condurre i negoziati, ma che per di più, a differenza dei governi e degli ufficiali eletti, hanno pieno accesso ai documenti.
Documenti peraltro originali, tra i quali è possibile trovare gli studi che giustificano questa o quella norma vantando magnifiche sorti progressive e il bene dell’umanità una volta che siano adottate, ma che hanno il piccolo difetto di essere stati ordinati e pagati da quelle stesse corporation alle quali apparentemente andrebbero a grande vantaggio. E nessuno crede che sia un caso, anche perché il prototipo di questi accordi, il NAFTA, si è rivelato ben poco generoso con gli ultimi, riuscendo nella difficile impresa di far diminuire i salari dei messicani, quelli che in teoria avrebbero dovuto trarre grandi vantaggi dall’arricchimento degli scambi interni all’area di libero scambio.

TAFTA è indicato come un «NAFTA agli steroidi» dai suoi critici. Non che non ci sia chi vede un’assurdità in questo modo di procedere, la senatrice Elizabeth Warren ad esempio in una lettera alla Casa Bianca ha rilevato l’ovvio: «Se la trasparenza portasse a una diffusa opposizione pubblica a un accordo commerciale, allora quell’accordo commerciale non dovrebbe essere tra le politiche degli Stati Uniti», ma nemmeno Obama si è astenuto dal celebrare le grandi opportunità offerte da questo genere d’accordi ed è evidente che sotto la sua amministrazione i negoziatori per gli Stati Uniti abbiano complessivamente guadagnato terreno, anche se finora nessuno dei testi è riuscito a tradursi in realtà e anzi, la netta bocciatura di ACTA al parlamento dell’Unione dopo anni di negoziati sembrava aver suonato la campana a morto per iniziative del genere.

La settimana scorsa sessanta organizzazioni europee hanno lanciato la campagna per dire no al grande mercato transatlantico, almeno nei termini posti dal TAFTA, che dovrebbero essere sovrapponibili a quelli del TPP, recentemente rivelati da Wikileaks e quindi terribilmente indigesti come ricordato sopra. I negoziati ora sarebbero giunti a circa due anni dal termine e in teoria l’accordo potrebbe andare a ratifica intorno al 2015 e nonostante tutto sono ancora oggi largamente sconosciuti alle opinioni pubbliche, così come lo è la stessa sigla TAFTA alla quale si preferisce la definizione anodina di «accordo di libero scambio», a proposito della quale c’è davvero poca cronaca a disposizione. Comprensibile, considerando l’idea che serva segretezza e che il processo è diretto dal Trans-Atlantic Business Dialogue, TABD, una lobby che oggi da Dialogue è diventata Council (TABC) e che fu creata nel 1995 dalla Commissione europea e dal ministero del Commercio americano come forum per il dialogo tra le rispettive élite economiche, una decisione ancora una volta informata allo spirito di far scrivere alle volpi le regole per la sicurezza del pollaio. A queste condizioni ci sarebbe da stupirsi davvero se il mainstream allarmasse le opinioni pubbliche in anticipo sull’esistenza di negoziati del genere.

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