Gli Stati Uniti contro il Venezuela

di  Alfredo Serrano

Non si tratta di uno sceneggiato tipo fiction né di un film di Hollywood. Neppure si tratta di paranoia cospirativa della guerra fredda: Oggi gli Stati Uniti manifestano chiaramente la loro intenzione di farla finita con il governo venezuelano. La democrazia che non vota il candidato dell’ambasciata USA è una democrazia che non serve agli Stati Uniti.

Il Nord America non ha mai voluto accettare Chavez come presidente appoggiato dai popoli del sud; adesso tanto meno può ammettere che il chavismo senza Chavez debba seguitare a edificarsi secondo il lascito di Chavez in Venezuela ed in America Latina.


Il manuale del “golpe lento” elaborato da Gene Sharp si sta dimostrando efficace per destabilizzare ma incapace di rovesciare la rivoluzione democratica Bolivariana. Perché? Perché Chavez è tanto riuscito a cambiare le regole, che la guerra pianificata- venuta da fuori- si trova adesso fuori gioco.
Nonostante le vittime ed il clima violento prodotto nelle strade del Venezuela ed il logorio dell’immagine internazionale di Maduro, l’obiettivo duraturo del golpe non riesce a cogliere l’obiettivo finale e, inoltre, sta dividendo l’opposizione. La violenza concentrata esclusivamente nelle zone ricche dell’est di Caracas non è sufficiente per presentarsi come una forza alternativa di governo con ampio appoggio popolare.  Capriles (il leader dell’opposizione) continua a manifestare che necessita dell’appoggio della maggioranza per essere presidente, mentre Leopoldo Lopez (altro leader) cerca, con una impostazione violenta, di mobilitare una minoranza. Realmente entrambi non hanno appreso come sottrarre il consenso del popolo al chavismo.

Il progetto di rovesciamento degli Stati Uniti fa data già dall’anno 2002, mediante un colpo di stato ed uno sciopero degli addetti al petrolio in Venezuela. Dopo di quello provarono con vari candidati e con differenti strategie elettorali per farla finita mediante le elezioni con Chavez. Di fronte alla morte di questi si è aperto ancora di più l’appetito per ottenere l’impossibile: eliminare il Chavismo come nuova identità politica. La prima via fu di nuovo quella elettorale, nel’aprile del 2013, ma hanno perso, per un minimo ma hanno perso. La seconda volta fu mediante una guerra economica trascinatasi per mesi per arrivare ad un plebiscito contro Nicolas Maduro nelle municipali del dicembre scorso, ma anche stavolta hanno perso e non per poco. Tuttavia dover aspettare fino al 2016, come prescrive la costituzione venezuelana, per realizzare un revocatorio è un qualche cosa di tanto democratica che non collima con i piani dei golpisti. Né i repubblicani né i democratici accettano le leggi della Repubblica Bolivariana e, per questo, il falso bipartitismo degli USA mantiene una chiara posizione contro il popolo del Venezuela.

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Le Nazioni Unite non gli hanno dato ragione e l’OEA gli ha girato le spalle. Non soltanto questo ma il cambio di epoca dopo Chavez obbliga a dirimere i problemi del Sud nell’ambito dello stesso Sud. La ALBA ha rifiutato ogni ingerenza degli Stati Uniti. Anche la CELAC ha appoggiato il governo del Venezuela perché continui gli sforzi per cercare un dialogo. Da ultimo la UNASUR è stata implacabile nel rifiutare la violenza ed appoggiare gli sforzi del governo del Venezuela. Tutto questo è una conquista di Chavez, ma anche dell’esperienza accumulata da Maduro a seguito dell’attività all’estero nel corso di tanti anni e della buona gestione dell’attuale ministro degli Esteri Jaua nei suoi ultimi viaggi.

Gli Stati Uniti ritornano a trovarsi senza tabella di marcia di fronte a questo scenario contrario ed allora, nella loro attuale versione della dottrina Monroe, ritornano alle minacce Al principio arrivarono con l’agenda economica per sondare il terreno. L’agenzia di rating Ficht ha declassato il Venezuela, Moodi’s ha parlato di collasso economico.  L’Economist ha predetto la “fine della fiesta”, la Bank of America e Merril Linch hanno preferito parlare di “fine della primavera venezuelana”. Poi sono arrivate le voci autorizzate, per primo il vicepresidente Binden con l’intenzione di seguire costruendo il motivo dominante della guerra civile con l’ingovernabilità. Si è unito alla festa il segretario di stato Kerry con un tono di ingerenza minacciando di stabilire sanzioni economiche per mezzo della OEA nonostante che Insulza (il suo segretario) ha lasciato in chiaro che “non si può appellare a questa opzione perché il caso venezuelano non mette a rischio la democrazia né la sicurezza del continente americano”.

Da ultimo per adesso è stato Kelly, il comandante dell’Esercito del sud degli USA, il quale si arrischia, senza complessi e con arroganza, a seguire nella strada del rovesciamento affermando, davanti al Comitato per la Sicurezza del Senato, che “il paese caraibico si va a precipitare verso la catastrofe economica” forzando inoltre una pretesa voce di divisione esistente in seno alle forze armate venezuelane.
La transizione geopolitica verso un mondo multipolare di vari blocchi economici da molto fastidio alla maggiore potenza militare del mondo. Nell’anno 2014 Gli Stati Uniti pretendono di recuperare, accada quel che accada ed alla massima velocità possibile, la loro egemonia unipolare nel sistema economico. Per quello stanno accelerando la loro guerra economica contro i paesi emergenti per mezzo di false aspettative e di logoramento, cercando di attaccare la Cina con campagne di marketing economico contro di essa, provocando una guerra in Ucraina per sottrarre un alleato alla Russia, ed adesso è arrivato il turno del Venezuela, essendo questo il suo gran nemico politico nel continente americano.
Sicuramente il governo bolivariano avrà commesso degli errori nella gestione di una situazione tanto complicata, tuttavia che nessuno dubiti che la diplomazia degli Stati Uniti, nella sua strategia di dominazione globale, esige adesso una guerra locale contro il Venezuela.
Alfredo Serrano
(Direttore del Centro Strategico Latinoamericano Geopolitico)

Traduzione di Luciano Lago


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Solo Putin può salvarci......

Anonimo ha detto...

Parole sante.Può sembrare paradossale ma ormai l'unico difensore della nostra cultura è proprio la Russia di Putin,anche da quei tagliagole in turbante a cui l'America del sunnita Obama e l'UE tengono tanto.

 


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